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E’ stato redatto ieri un primo documento emerso dalla "Consultazione sulla partecipazione civica" promossa da Cittadinanzattiva per individuare punti di forza, indice dei rischi e azioni per minimizzarli, per una partecipazione di qualità dei cittadini alle politiche sanitarie pubbliche. A produrlo 100 stakeholder della partecipazione – fra esponenti di istituzioni e di organizzazioni civiche, cittadini ed esperti – che si sono confrontati il 30 e 31 gennaio a Roma nel corso della “Consultazione sulla partecipazione civica in sanità” promossa da Cittadinanzattiva, con il contributo non condizionante di Novartis. Il documento sarà presentato, nella sua versione finale, nel corso di un evento che si terrà sempre a Roma il prossimo 16 maggio.

La riflessione ha preso le mosse dai dati emergenti dalla indagine preparatoria che ha riguardato due aree di analisi: la prima inerente le norme sulla partecipazione civica in sanità, sia a livello nazionale che regionale; la seconda riguardante 34 pratiche partecipative attuate in 5 Regioni (Basilicata, Emilia Romagna, Piemonte, Puglia, Toscana) e nella Provincia autonoma di Trento, che hanno visto il coinvolgimento di 24 Enti, fra Assessorati, Asl, Aziende ospedaliere ed IRCSS, e di 41 associazioni civiche.

Partecipazione a variabilità locale. Dal punto di vista della normativa, il contesto regionale italiano appare molto diversificato: leggi specifiche sulla partecipazione dei cittadini alle politiche pubbliche si trovano in Toscana (dal 2007), Emilia Romagna (2010), Puglia (2017) e PA di Trento (2014). La Toscana è l’unica regione ad aver approvato nel 2017 una legge specifica sulla partecipazione in campo sanitario; nella maggior parte delle Regioni abbiamo leggi con specifici articoli dedicati al tema della partecipazione in sanità; nel Lazio, Campania, Calabria e Friuli Venezia Giulia manca una normativa sanitaria che parli di partecipazione, mentre figurano indicazioni alla partecipazione solo per l’integrazione sociale o socio-sanitaria. Sempre nel Lazio e in Campania troviamo leggi con riferimenti alla partecipazione per specifici ambiti (quali handicap e salute mentale nel Lazio).

Dodici Regioni hanno previsto un organismo stabile di partecipazione in sanità, ma solo in Emilia Romagna lo stesso è presieduto da un rappresentante dell’associazionismo civico. Sempre l’ER si distingue in positivo perché pubblica sul proprio sito internet tutti gli ordini del giorno delle riunioni dell’organismo, come anche i relativi decreti di nomina.
Solo in dieci regioni la partecipazione è riconosciuta sin dalla fase di definizione dell’agenda, mentre in tutte sembra garantita nella fase di programmazione e in quasi tutte (ad eccezione di Sardegna, Abruzzo, Liguria e Calabria) in fase di controllo e valutazione. Solo sei la garantiscono nella fase decisionale.

Pratiche partecipative: si può fare di più. Le 34 pratiche partecipative, sulle 85 pervenute, sono state analizzate sotto quattro dimensioni: inclusività, grado di potere, esito della pratica e capacità di render conto.
Con riferimento alla dimensione della inclusività - ossia la capacità delle istituzioni di coinvolgere tutti i cittadini, singoli ed associati, interessati dalla pratica – è evidente che gli Enti coinvolgono soprattutto i soggetti già noti, sulla base della attività svolta e della rilevanza esterna, mentre spesso sono escluse le fasce deboli e le rappresentanze delle comunità locali.
In merito alla dimensione “grado di potere” – ossia capacità delle istituzioni di riconoscere ed attribuire potere ai cittadini su questioni rilevanti – emerge che gli Enti coinvolgono principalmente per consultare (31%), co-progettare (22%), co-gestire (17%); solo nel 38% dei casi le pratiche partecipative risultano vincolanti ai fini del risultato. Inoltre, le indicazioni/raccomandazioni derivanti dalla pratica partecipativa, a detta delle associazioni, sono state prese abbastanza in considerazione dall’Ente nel 61% dei casi, molto nel 20%.

In riferimento all’esito della pratica partecipativa – ossia la capacità delle istituzioni di garantire i risultati della stessa – emergono dati positivi: nel 71% dei casi, il prodotto della pratica viene implementato dall’Ente. Inoltre nell’82% dei casi gli Enti ammettono che la pratica partecipativa ha prodotto un output con un valore aggiunto rispetto a quanto si sarebbe potuto ottenere in assenza di coinvolgimento civico. Inoltre, partecipazione chiama partecipazione: nel 59% dei casi si osserva negli Enti l’innescarsi di un processo virtuoso che partendo dalla pratica partecipativa porta a generare nuove esperienze simili.

Sul tema dell’accountability – ossia la capacità delle istituzioni di rendere conto ai cittadini della pratica partecipativa – si segnalano invece le principali aree di miglioramento dato che l’Accountability è garantita poco e a pochi; nel 38% dei casi non viene prodotto alcun report finale della pratica partecipativa. Laddove realizzato, il contenuto si presenta alquanto diversificato, come pure la sua diffusione che solo in poche occasioni (15% a detta degli Enti, 10% secondo le associazioni) viene estesa all’opinione pubblica in generale.

Il documento. “Dalla Consultazione è emerso sicuramente un approccio unitario, indipendentemente dal loro ruolo, fra tutti gli stakeholder intervenuti e la condivisione di un linguaggio comune. Ma si è lavorato insieme soprattutto all’individuazione di un Indice di rischi che compromettono una partecipazione di qualità e di alcune azioni che possono essere messe in campo per minimizzarli”, sintetizza Anna Lisa Mandorino, vice segretario generale di Cittadinanzattiva. "Questo Indice dei rischi e delle azioni di minimizzazione sarà a disposizione delle istituzioni che intendano realizzare pratiche di democrazia partecipativa come una traccia, utile ad affrontare con consapevolezza le dimensioni dell’inclusività, del grado di potere, dell’esito e della rendicontabilità delle pratiche stesse. Dunque uno strumento che rimarrà aperto, visto che ciascuno potrà continuamente arricchirlo sulla base della propria esperienza, ma anche utilizzabile fin da subito per orientare alla qualità le proprie pratiche di partecipazione”.

Di seguito cinque punti salienti in cui il documento in elaborazione identifica a pratica partecipativa, che deve:
• essere attuata coinvolgendo i cittadini organizzati ma anche i singoli, e, particolarmente in ambito socio-sanitario, valorizzare il protagonismo delle comunità;
• utilizzare maggiormente le possibilità che la rete offre per potenziare una partecipazione estesa, possibilità ancora sottodimensionate nelle pratiche partecipative in sanità;
• essere orientata a garantire effetti di un vero cambiamento nella realtà, affinché il valore aggiunto della partecipazione non sia destinato a rimanere sulla carta;
• coinvolgere i cittadini sia nel momento della decisione sia nel momento dell’applicazione delle decisioni e della valutazione dei loro risultati, affinché l’azione pubblica risulti più incisiva e più rispondente ai bisogni dei cittadini stessi e della comunità;
• prevedere comunicazione e trasparenza in ogni fase della pratica partecipativa.